Pubblico molto volentieri questo articolo apparso sul blog DoctorWine
Enologia sotto attacco
di Daniele Cernilli 29-01-2018
Contrariamente a come pensa parecchia gente, la maggior
parte degli enologi opera evitando di snaturare sul serio le caratteristiche
più emblematiche di ogni vino e non facendo alchimie strane.
Strano il mondo del vino e del cibo. Molti esaltano tecniche
di cucina moderne e rivoluzionarie, come il sottovuoto, la cucina molecolare e
compagnia cantando, poi quando si passa al vino ogni pratica enologica diventa
una sorta di bersaglio per le critiche più feroci, come se non si trattasse di
tecniche di carattere prevalentemente fisico, e non chimico come qualcuno
adombra. C’è insomma una parte del pubblico, spesso male informata da più
fonti, che demonizza il ruolo dell’enologia e degli enologi nella produzione
vitivinicola.
Accade quasi solo in Italia, ma la cosa è più diffusa di
quanto ci si immagina e determina una visione del vino paradossale e
sostanzialmente antiscientifica. Se c’è un aspetto da sottolineare, è che
proprio attraverso la ricerca enologica si è riuscito negli ultimi anni a
limitare in modo sensibilissimo l’intervento della chimica nella produzione di
vino. I livelli di anidride solforosa aggiunta, per fare un esempio, sono meno
della metà di quanto accadeva un paio di decenni fa, e questo è dovuto, oltre
che alla ricerca di una maggiore sanità delle uve, anche allo sviluppo di
tecniche quali il controllo della temperatura in fermentazione, la grande
attenzione verso i fenomeni di ossidazione, con l’utilizzo di pratiche di
fermentazione in riduzione, e anche l’utilizzo di lieviti adeguati, che non
determinano blocchi fermentativi con conseguente aumento dell’acidità volatile.
Sono solo alcuni aspetti fra i più macroscopici, ma anche i
più immediatamente comprensibili per un pubblico di non addetti ai lavori. Lo
stesso che invece a volte viene portato a considerare tutto questo come il male
assoluto, e ogni intervento enologico come una forzatura e una “costruzione”
del vino tale che lo renderebbe qualcosa di “non naturale”. La conseguenza è
che gli “enologi”, intendendo con questa definizione qualcosa di negativo e in
qualche modo pericoloso, sono coloro che snaturano il vino autentico per farne
qualcosa di industriale, poco salubre e di nessun interesse organolettico.
Ora, non nego che ci possano essere esagerazioni,
paragonabili all’accanimento terapeutico in medicina, ma la realtà dei fatti è
davvero molto diversa da quanto appare, e la maggior parte degli enologi opera
proprio per evitare che ossidazioni, acidità volatili, fermentazioni anomale,
possano realmente uniformare e snaturare sul serio le caratteristiche più
emblematiche di ogni vino. Conoscendone molti, di enologi, dico, so bene che la
maggiore preoccupazione che hanno non è quella di applicare pedissequamente dei
protocolli standardizzati, ma di interpretare la materia prima che di volta in
volta si trovano a dover trasformare.
Fare vino è un processo guidato, non semplicemente un
fenomeno naturale, e demonizzare chi cerca di gestirlo al meglio è
semplicemente un’assurdità. Da sola la fermentazione degli zuccheri dell’uva
porta alla produzione di un cattivo aceto.
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