Donatella Cinelli Colombini,
Presidente Nazionale delle Donne del Vino:
"Il coronavirus uccide il turismo del vino"
“Il turismo è la vittima economica principale dell’epidemia
coronavirus: un miliardo e quattrocento milioni di viaggiatori l’anno con un
business mondiale intorno a 1.300 miliardi bloccato dalla paura.
Paura di
salire in aereo dove potrebbero esserci dei passeggeri contagiosi oppure di
andare in alberghi o ristoranti dove il viaggiatore precedente, forse malato di
Covid-19, potrebbe aver starnutito su coperte o cestini del pane. La reclusione
in casa ha aumentato la percezione di pericolo rispetto a tutto quello che sta
fuori delle mura domestiche per cui le vacanze, più che momenti di evasione,
appaiono come esperienze ansiogene con il coronavirus sempre in agguato. Meglio evitare?
Una prospettiva che la
Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha espresso con la
frase "non prenotare le vacanze della prossima estate" e che il
Presidente dell’Istituto Superiore della Sanità Silvio Brusaferro ha ripreso il
17 aprile: "E' presto per pensare alle vacanze".
In questo disastroso 2020 ogni Paese cercherà di tenere i
cittadini nei propri confini nazionali e probabilmente anche gli Italiani
faranno viaggi di prossimità. Per questo le destinazioni turistiche dove i
viaggiatori sono prevalentemente italiani saranno meno colpite rispetto a
regioni, come la Toscana, dove gli arrivi dall’estero hanno percentuali molto
alte e fra loro gli Statunitensi sono numerosi (9% degli arrivi totali). Qui si
sta delineando un autentico tracollo.
Non dimentichiamo che il turismo estero
vale oltre 40 miliardi per l’Italia. Più grave la situazione in campagna dove
il turismo si è sviluppato negli ultimi anni sotto forma di agriturismo e
turismo enogastronomico. In queste zone, ad esempio, i ristoranti non hanno,
oppure hanno pochissima clientela locale e, rispetto ai colleghi di città non
possono usare il delivery come alternativa. Non escluderei che molti
decidessero di rimanere chiusi per tutto il 2020.
Oltre alla diminuzione dei flussi turistici esiste infatti
un altro aspetto da considerare: gli effetti dell’eventuale contagio dove, per
ora, l’epidemia di coronavirus è stata quasi assente. Prendiamo in esame le
attività turistiche più problematiche, quelle delle aziende agricole –
ricettività, ristorazione e enoturismo – che sono accessorie e spesso in
promiscuità, con i lavori propriamente agricoli.
Portando i visitatori in
azienda aumenta il numero delle misure protettive da prendere nell’impresa nel
suo complesso, ma soprattutto aumenta la probabilità di contrarre il covid.
In
una simile eventualità l’obbligo di quarantena potrebbe riguardare sia chi
lavora nell’hospitality che il personale di cantine, uffici, vigneti e altre
attività tipicamente rurali, con il blocco totale di ogni produzione. Per le
destinazioni del turismo enogastronomico che negli ultimi anni sono cresciute a
doppia cifra facendo da locomotore alla ripresa del turismo in Italia, il
futuro prossimo appare molto preoccupante. Il Chianti classico, le Langhe, la
Valpolicella... hanno costruito un autentico sistema economico sull’attrattiva
vino con alberghi e agriturismi, ristoranti, enoteche, cantine aperte al
pubblico per visite, degustazioni e vendita diretta.
Per restringere alle sole cantine, l’esame dei problemi
turistici creati dal coronavirus, è ipotizzabile che le 25.000 aziende
enologiche italiane aperte al pubblico e fra esse le 5-8.000 ben organizzate
per l’hospitality, occupino intorno a 30.000 dipendenti stagionali addetti all’enoturismo,
oltre al personale a tempo indeterminato e ai membri delle famiglie
produttrici. Tutte persone che potrebbero rimanere senza lavoro. Se andiamo a
vedere il contraccolpo economico della mancanza di vendita diretta nelle
cantine abbiamo dati altrettanto sconfortanti: 2-2,5 miliardi di Euro che
costituiscono una liquidità importante per le imprese italiane ma soprattutto
una fonte di guadagno con marginalità nettamente più alta rispetto ai normali
canali commerciali.
Come ha ben messo in evidenza Roberta Gribaldi nei suoi
Rapporti sul turismo enogastronomico in Italia e dalle Città del Vino con
l’Osservatorio diretto dal Professor Giuseppe Festa, il turismo del vino
comprende un articolata serie di consumi che solo parzialmente riguardano le cantine.
E’ da presumere che per un Euro speso nell’acquisto di bottiglie il visitatore
ne paghi altri 5 nelle zone del vino per mangiare, dormire, fare shopping di
specialità tradizionali o partecipare a eventi, corsi, degustazioni e altre
occasioni di intrattenimento. Secondo i dati della Banca d’Italia (2019) i
turisti esteri in Italia spendono 12 miliardi all’anno in cibo e vino consumato
nei pasti oppure acquistato come shopping goloso.
Un autentico motore per la
ristorazione e i negozi di tutte le città turistiche. Un motore che oggi è
spento e farà rallentare anche chi riforniva questi luoghi di consumo e vendita
cioè le cantine e i produttori di specialità alimentari di eccellenza.
Non
scordiamoci che fino allo scorso anno metà dei 58 milioni di turisti stranieri
in Italia aveva comprato almeno una bottiglia di vino”.
*Donatella Cinelli Colombini Presidente Nazionale Donne del
Vino
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