Da ricerca effettuata negli Usa sulla riconoscibilità delle
principali denominazioni vinicole del mondo, l'Italia esce male. Solo 5 le zone
conosciute, di cui 3 sono regioni.
Fabio Piccoli, giornalista del vino con grande competenza
sulle dinamiche economiche del settore, scrive su Wine Meridian, web magazine
che invito tutti a seguire, che il gruppo americano di ricerca Wine
Intelligence ha ultimamente fornito dei dati sul mercato americano.
È stato
intervistato un campione di consumatori regolari di vino, che comprano cioè
almeno una volta l’anno una bottiglia, sull’indice di riconoscibilità delle
principali denominazioni di origine mondiali.
I dati per l’Italia non sono affatto confortanti. Di 45
tipologie, ben 18 erano francesi e solo 5 italiane.
Per fortuna abbiamo la
Toscana al secondo posto dopo la Napa Valley, con un indice di conoscenza del
60% del campione. Poi al nono posto, a pari merito, Sicilia e Chianti, quindi
ancora Toscana, con il 42%. Numero 13 il Prosecco con il 37% e al
diciassettesimo posto il Piemonte con il 22%. Non ci sono Brunello, Barolo,
Amarone, non c’è il Soave, il Montepulciano d’Abruzzo e neanche i Lambrusco.
Non sono buone notizie.
Il mercato americano è il più importante per il nostro
export, siamo leader, o molto vicini
alla leadership, per volumi e per fatturato. Ma la conoscenza delle zone, delle
regioni, delle Doc e Docg anche più famose non è ancora soddisfacente. È come
se ci fosse una lente concava che allontana la visione e la rende più uniforme.
Dipende dall’eccessiva parcellizzazione? Dalla pletora di denominazioni e di
tipologie di vini e di vitigni? Dalla scarsa capacità di creare brand aziendali
o territoriali? Dal fatto che mentre i francesi fanno in continuazione
educational nell’ambito di manifestazioni dedicate noi facciamo molto meno?
Un
po’ tutto questo, indubbiamente.
Se consideriamo, per
fare un esempio, che nel Salento, che è una zona abbastanza nota, c’è solo
un’Igt con quel nome, mentre i vini hanno Doc di scarsa riconoscibilità, come
Nardò, Copertino, Alezio, Squinzano, Terre d’Otranto, Salice Salentino (che è
forse la più nota), Brindisi, Galatina, Leverano, Matino, magari ottimi ma
molto simili fra loro, si capisce bene quale possa essere uno dei problemi. Se
è vero che il 90% della nostra produzione a Doc o a Docg è rappresentata da
un’ottantina di denominazioni, e che le altre oltre 400 coprono solo il 10%
della produzione abbiamo un altro tema di discussione.
E anche quando andiamo a
vedere quali siano le regioni vinicole più riconosciute, e troviamo Toscana,
Sicilia e Piemonte, cioè nomi regionali, e non Brunello, Etna o Barolo,
dovremmo ragionarci su. Ciò che da noi, e per degli appassionati o degli
addetti ai lavori di casa nostra, è abbastanza scontato, altrove non lo è
affatto. E come molti di noi non hanno idea di dove sia la Mortington
Peninsula, dobbiamo mettere in conto che per molti appassionati esteri il
Cilento o i Colli di Luni, sempre per fare un esempio, non sono facilmente
collocabili geograficamente.
Inoltre, conclude Piccoli, se questo avviene negli
Usa, dove bene o male un po’ ci conoscono, non fosse altro che per i milioni di
italoamericani che ci sono e per la diffusione della ristorazione italiana nel
Paese, pensiamo a cosa accade e accadrà in luoghi un po’ diversi, come la Cina
o la Corea del Sud, che rappresentano sicuramente dei nuovi mercati, ma dove i
vini italiani sono degli illustri sconosciuti nella maggior parte dei casi.
Iniziamo a preoccuparci, insomma.
Fonte Doctor Wine, Testo Daniele Cernilli.
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